L’effetto del sonno è importantissimo sul potenziamento di altre funzioni cognitive come apprendimento, concentrazione e attenzione, e sulla capacità di partecipare attivamente alla vita sociale. Il riposo, inoltre, influisce sul mantenimento dell’equilibrio psico-emotivo della persona, stabilizzando il tono dell’umore, allentando le tensioni e riducendo i livelli di ansia e stress.
Le fasi del sonno e le funzioni esecutive

Il sonno viene definito come uno stato comportamentale reversibile, caratterizzato da isolamento percettivo e assenza di responsività agli stimoli ambientali ma, al tempo stesso, un complesso insieme di processi fisiologici e comportamentali (Carskadon & Dement, 2005).
In base a misure polisonnografiche, il sonno è stato diviso nelle categorie REM e NREM, o sonno ad onde lente. I cicli del sonno sono detti così per via della loro associazione con la presenza (REM) o assenza (NREM) di rapidi movimenti oculari.

La maggior parte dei ricercatori sostiene che la principale funzione del sonno sia quella di promuovere lo sviluppo cerebrale e l’apprendimento. Durante questa fase, infatti, il cervello ne approfitta per eliminare le sostanze di scarto attraverso il sistema linfatico, il quale pompa liquor nei tessuti cerebrali ripulendoli dalle proteine tossiche accumulate durante il giorno. Tale processo è indispensabile poiché, ad esempio, l’accumulo di una di queste proteine, la beta amiloide, è correlata all’insorgenza di malattia di Alzheimer (Nedergaard et al., 2013).

Molte sono state, negli ultimi anni, le ricerche relative al sonno, le quali hanno portato alla comprensione di quale sia la sua importanza e quella relativa alla cura dei disturbi legati a questo processo fisiologico fondamentale. Tali disturbi sembrano avere un impatto enorme sull’efficienza mentale e in generale sulla qualità della vita delle persone. Grazie al crescente interesse nei confronti di questo tema, e allo sviluppo di laboratori specifici del sonno, gli studiosi hanno potuto diagnosticare e trattare, in modo efficace, un numero sempre crescente di pazienti riportanti disturbi del sonno. Una gestione ottimale di questi disturbi richiede, quindi, una comprensione globale dei meccanismi patologici che ne stanno alla base e ancora prima una buona conoscenza della fisiologia del sonno (Thien Thanh Dang-Vu, 2007).
Lo sviluppo delle tecniche di neuroimmagine, negli ultimi decenni, ha fornito un importante strumento di ricerca non invasiva, consentendo il rilevamento di alterazioni anatomiche sottili e di variazioni del flusso sanguigno cerebrale, nonché, una comprensione circa la fisiologia del sonno umano, presentando mappe cerebrali funzionali delle diverse fasi (Maquet et al., 1997; Braun et al., 1997), e dando sostegno ad un suo ruolo nell’apprendimento e nella memoria (Peigneux et al., 2004).

L’importanza dello studio relativo ai disturbi del sonno nasce dalla considerazione di quanto esso sia essenziale per le prestazioni cognitive, in particolare gioca un ruolo fondamentale nel processo di memorizzazione (Maquet, 2001), poiché potenzia e riattiva le tracce mnestiche e le incorpora nei circuiti della memoria a lungo termine, favorisce i meccanismi di plasticità neuronale, influenza la capacità di prendere decisioni e di ragionare.
Non solo, ma l’effetto del sonno è importantissimo sul potenziamento di altre funzioni cognitive come apprendimento, concentrazione e attenzione, e sulla capacità di partecipare attivamente alla vita sociale. Il riposo, inoltre, influisce sul mantenimento dell’equilibrio psico-emotivo della persona, stabilizzando il tono dell’umore, allentando le tensioni e riducendo i livelli di ansia e stress.

Anche gli studi più recenti hanno evidenziato come la scarsa qualità del sonno si associ ad uno scarso funzionamento cognitivo, in particolare Nebes e collaboratori in uno studio del 2009 hanno riportato un’associazione con la riduzione delle funzioni esecutive.

La prevalenza media di persone che lamentano problematiche inerenti il sonno in età adulta varia tra l’8% e il 18% (Asplund & Aberg, 1998). Queste anomalie sono più frequenti con l’avanzare dell’età e colpiscono più le donne che gli uomini. I disturbi più significativi sono l’insonnia, l’apnea notturna, la narcolessia e la sindrome delle “gambe senza riposo”.
Gli Episodi di Sonnolenza Diurna (EDS) sono il sintomo più frequentemente riportato, durante il giorno, dai soggetti che presentano disturbi del sonno, e possono essere conseguenti a frammentazione del sonno notturno o sfasamento del ritmo circadiano.
Il sonno è quindi necessario per il normale funzionamento cerebrale, tuttavia non solo la qualità risulta essere importante, ma anche la quantità, infatti le persone che ne sono deprivate sono in grado di svolgere normalmente la maggior parte dei compiti cognitivi di breve durata, ma dopo due giorni di deprivazione, le prestazioni in compiti che richiedono elevati livelli di funzionamento peggiorano (Horne & Petit, 1985). In particolare si ha un rendimento compromesso nelle prove che richiedono attenzione, allerta e vigilanza.

Uno studio recente (2011), condotto da Jane Ferrie dell’University College London Medical School, si è occupato di valutare gli effetti della qualità e della quantità di sonno. Lo studio ha dimostrato, ancora una volta, come una buona qualità del sonno sia fondamentale per il funzionamento e per il benessere della persona, inoltre la sua privazione e la sonnolenza hanno degli effetti negativi sulle prestazioni in compiti che valutano i tempi di risposta, l’attenzione e la concentrazione. Per quanto riguarda la quantità, questa viene associata ad una vasta gamma di aspetti importanti della vita, come ad esempio il funzionamento sociale e la salute mentale e fisica, quindi la quantità di ore che si passano a dormire influenza la qualità della vita. Secondo tale studio inoltre, la durata ideale del sonno notturno pare essere di 6-8 ore, superare tale durata o al contrario, dormire meno, avrebbe degli effetti negativi; contribuirebbe, infatti, ad un declino fisico e cognitivo.
Il sonno e le funzioni cognitive nell’adulto anziano

Anche se le prestazioni cognitive diminuiscono con l’aumentare dell’età, vi è una variabilità individuale nella grandezza di questi decrementi cognitivi (Ardila, 2007). Tale variabilità sembra dipendere dalle differenze individuali legate alle disfunzioni cerebrali alla base dell’invecchiamento, come ad esempio la gravità dell’atrofia a livello corticale (Raz, Gunning-Dixon, Head, Dupuis, Acker, 1998). Tuttavia un altro potenziale contributo alla variabilità individuale dei deficit cognitivi associati all’età, giunge dagli studi relativi alla quantità e alla qualità del sonno. Come detto in precedenza, i disturbi sono presenti in una percentuale piuttosto alta nella popolazione e tendono ad aggravarsi con l’avanzare dell’età. Molte persone anziane riferiscono problemi cronici nella fase iniziale del sonno, nella durata e nella qualità, con conseguenze negative quali sonnolenza, cadute e disabilità funzionale (Vaz Fragoso & Gill, 2007).

Anche se la letteratura relativa alle prestazioni cognitive degli anziani con problemi del sonno appare abbondante (Haimov, Hanuka & Horowitz, 2008), ci sono poche informazioni sul grado in cui i disturbi possono contribuire alla variabilità individuale della performance cognitiva riscontrata in queste persone, in particolare pare non esserci un accordo specifico su quali siano le principali funzioni cognitive a risentire della scarsa qualità del sonno.

Messaggio pubblicitario Uno studio effettuato da Bastien e collaboratori nel 2003 ha riportato l’esistenza di una correlazione tra la qualità del sonno, auto-riferito dalle persone, e la velocità di elaborazione delle informazioni (Bastie net al., 2003), le funzioni esecutive (attenzione divisa, memoria di lavoro, capacità di inibizione, fluenza verbale e problem solving) e la memoria a lungo termine (Schmutte et al., 2007).

Altre ricerche hanno mostrato come poco sonno abbia un impatto sulle prestazioni in compiti che valutano i tempi di reazione semplici e complessi, l’attenzione e la vigilanza (Blatter et al., 2006).

Alcuni studiosi, inoltre, sostengono che la perdita di sonno porti a transitorie modificazioni nel metabolismo del cervello, riducendo l’efficienza nella corteccia prefrontale (Killgore, 2010), di conseguenza, si presume siano maggiormente correlate alla qualità del sonno le funzioni esecutive legate proprio alle regioni prefrontali (Durmer & Dinges, 2005; Jones & Harrison, 2001).

Negli anziani ciò appare particolarmente evidente visto che le regioni prefrontali sono altamente sensibili all’età e le maggiori differenze in termini di prestazioni cognitive legate all’età si riscontrano proprio nelle attività dipendenti dalla corteccia prefrontale (MacPherson, Phillips, Della Sala, 2002).

Un altro fattore importante da tenere in considerazione nel contesto del sonno e delle funzioni cognitive in età avanzata, è che gli indicatori soggettivi della qualità del sonno sono costantemente connessi a misure di depressione (Riemann, Berger, Voderholzer, 2001). Ad esempio, Riemann e collaboratori (2001) hanno suggerito che, in maniera ambivalente, i problemi di sonno sono sintomi di depressione e, allo stesso tempo, possono rappresentare un fattore di rischio per la depressione. Inoltre Naismith e collaboratori, in un lavoro del 2011, hanno dimostrato che i disturbi del sonno in pazienti anziani con depressione, influenzano le funzioni cognitive. Una correlazione, ad esempio, è stata trovata tra la durata dei risvegli notturni e le prestazioni in prove di apprendimento, memoria, fluenza semantica, inibizione di risposte irrilevanti e problem solving.